È possibile lo screening neonatale per le malattie lisosomiali? In alcune regioni italiane sono stati attivati dei progetti pilota su alcune di queste malattie da accumulo lisosomiale, quindi la risposta è sì, da un punto di vista tecnico è possibile.
Nonostante ciò le malattie lisosomiali (LSD) non sono comprese nel panel di circa 40 patologie previsto in attuazione della legge 167/2016. Cioè quella lista di patologie per le quali, obbligatoriamente, tutte le regioni devono offrire a tutti i nuovi nati un test per diagnosticare precocemente alcune patologie rare e potenzialmente gravissime.
Pertanto lo screening neonatale per le malattie da accumulo lisosomiale ad oggi viene effettuato solo in due Laboratori di Riferimento per lo Screening Neonatale, interessati da progetti pilota o da specifiche normative regionali.
Cosa sono le malattie da accumulo lisosomiale?
Le malattie da accumulo lisosomiale sono un gruppo di malattie ereditarie caratterizzate dall’accumulo di macromolecole che non vengono correttamente smaltite, nelle cellule e di conseguenza nei tessuti e organi del corpo. Ciò accade a causa della carenza (o totale assenza) di alcuni enzimi lisosomiali. Senza questi “spazzini” nella nostra cellula si accumula “i rifiuti”, che a lungo andare provocano tossicità, fino a condurre alla morte cellulare.
Ad oggi in letteratura sono descritte 50 diverse malattie da accumulo lisosomiale.
In base al tipo di macromolecola accumulata, queste malattie sono classificate in sottotipi diversi. Colpiscono il sistema nervoso centrale, lo scheletro, la pelle, il cuore e /o altri organi, determinando caratteristiche fisiche specifiche.
Alcune delle patologie più note sono la malattia di Fabry, la malattia di Gaucher, la malattia di Pompe e le mucopolisaccaridosi. Alcune di queste patologie si manifestano durante la prima infanzia, altre solo in età adulta. L’identificazione precoce di una di queste patologie può comunque rappresentare la possibilità di un intervento terapeutico tempestivo (là dove una terapia è disponibile).
Di screening neonatale per le malattie da accumulo lisosomiale si discute già da quasi vent’anni.
Nel 2016 negli USA è stato messo a punto un test di screening particolarmente accurato ma anche economico, per 6 di queste patologie (leggi qui per saperne di più sullo studio). Nel frattempo in Italia sono stati sottoposti a screening 44.411 bambini nati tra il 2015 e il 2017 nel Nord-Est. Il tutto grazie al progetto della Regione Veneto e del Programma Regionale Screening Neonatale Allargato per le Malattie Metaboliche Ereditarie.
Con questo progetto, primo in Europa, sono state ricercate quattro importanti LSD: la malattia di Fabry, quella di Gaucher, quella di Pompe e la mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I).
Come già spiegato dal Dott. Burlina all’Osservatorio Malattie Rare in questo articolo, all’interno dei laboratori dell’Ospedale di Padova sono stati sviluppati e messi a punto ulteriori test in grado di convalidare la positività del campione. Tramite l’analisi della singola goccia di sangue, i ricercatori hanno potuto identificare il maggior numero di pazienti minimizzando i “falsi positivi” ed evitando di suscitare allarmismo nella popolazione oggetto di screening.
I dati, pubblicati nel 2017 sul Journal of Inherited Metabolic Diseases, illustrano che su 40 neonati, risultati positivi allo screening, è stato eseguito il test di conferma da cui è emersa, per 10 di loro, la diagnosi di una malattia lisosomiale. 2 sono risultati affetti da malattia di Pompe, 2 da malattia di Gaucher, 5 da malattia di Fabry e 1 da MPS I.
Un altro importante risultato è stato quello ottenuto tramite un progetto delle regioni Toscana e Umbria, grazie al quale sono stati sottoposti a test di screening neonatale per la malattia di Fabry 61.000 neonati. Il test ha messo in evidenza un numero di casi della malattia più alto del previsto, che potrebbe suggerire una sottodiagnosi di questo tipo di malattie sul nostro territorio nazionale.
L’interrogativo etico e le possibilità terapeutiche
Alcune patologie da accumulo lisosomiale si manifestano alla nascita, o dopo pochi mesi, con tutta la loro drammatica gravità, come la malattia di Krabbe o la forma infantile della malattia di Pompe. Altre patologie (come ad esempio le forme adulte della malattia di Pompe e la malattia di Fabry), sebbene presenti dalla nascita (in quanto ereditate a livello genetico) si manifestano a livello di sintomi solo in età adulta (parliamo di ‘insorgenza tardiva’).
Per alcune malattie da accumulo lisosomiale sono disponibili terapie, quali le terapie enzimatiche sostitutive, le terapie basate su farmaci chaperon o il trapianto di cellule staminali. In ogni caso, tutte queste terapia sono tanto più efficaci quanto prima vengono iniziate. Per questo motivo la diagnosi precoce è importante per prevenire l’insorgenza e la progressione di danni gravi.
Negli ultimi anni la comunità scientifica, nazionale ed internazionale, sta cercando di sviluppare nuove linee guida per condividere i percorsi di diagnosi e cura di queste malattie.
Grazie soprattutto al contributo della ricerca italiana, in un prossimo futuro probabilmente sarà disponibile la terapia genica per alcune di queste patologie.
“Ma se per la malattia che indago non esiste terapia? Voglio davvero conoscere la diagnosi che potrebbe essere una condanna?”
“E se scopro che mio figlio ha una malattia che però non si manifesterà mai? Passerà tutta la vita da malato anche se non lo è?”
Sono alcune delle domande, qui semplificate per facilità di lettura, che ci si può porre di fronte alla possibilità dello screening neonatale per le malattie da accumulo lisosomiale. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità per rispondere a queste domande restano validi i “criteri di Wilson e Jungner”, pubblicati alla fine degli anni ’60. Sostanzialmente sostengono che lo screening ha senso se la malattia rappresenta un problema di salute consistente per la società, se esiste un periodo di latenza tra nascita e malattia che ne permetta la diagnosi tramite uno o più marcatori di adeguata accuratezza e se sia disponibile un’opzione terapeutica, non necessariamente risolutiva, ma capace almeno di aumentare l’aspettativa di vita o di migliorare la qualità della vita.
Su circa 50 malattie da accumulo lisosomiale descritte (incidenza complessiva di un caso ogni 1.500-1.700 nati vivi) per una quindicina di queste è già disponibile o in fase molto avanzata di sperimentazione una terapia (di sostituzione o genica).
Trattandosi di malattie rare non possiamo certamente pensare che la singola patologia possa rappresentare un problema consistente, ma considerando le malattie rare nel loro insieme possiamo senza dubbio sostenerlo. Le opzioni terapeutiche forse non sono disponibili per tutte le malattie da accumulo lisosomiale, ma per alcune lo sono. Per altre lo saranno, considerando la velocità dei progressi scientifici e farmaceutici in questo settore.
Ampliare lo screening neonatale includendo anche le patologie da accumulo lisosomiale potrebbe salvare delle vite.
Certamente però ciò che conta è ricordare che lo screening neonatale è parte di un processo, che deve necessariamente prevedere anche e soprattutto una corretta e tempestiva presa in carico dopo la diagnosi. Accanto allo screening devono esserci dei centri di diagnosi e cura, che possano garantire ai bambini e alle loro famiglie un percorso globale.
Altrimenti lo screening a cosa serve?
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