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Screening neonatale, Andrea Pession (SIMMESN): “Attendiamo l’allargamento del panel di patologie da ricercare e intanto lavoriamo per avere meno centri e maggiore qualità”

Screening neonatale, Andrea Pession (SIMMESN): “Attendiamo l’allargamento del panel di patologie da ricercare e intanto lavoriamo per avere meno centri e maggiore qualità”

A margine del congresso di Bari, Osservatorio Screening Neonatale ha intervistato il presidente della società scientifica sulle novità emerse e le linee da seguire per il prossimo futuro. Tra queste il sempre maggiore coinvolgimento dei pazienti, ma anche tanta attenzione a fare cultura sui “campanelli d’allarme”

All’ultimo congresso della SIMMESN – Società Italiana per lo studio delle Malattie Metaboliche Ereditarie e lo Screening Neonatale – si è parlato delle novità nel campo della diagnosi delle malattie metaboliche ereditarie, malattie genetiche rare causate dall’alterato funzionamento di una via metabolica. Il titolo scelto per il congresso “tra complessità clinica e laboratoristica” era, di per sé, già un programma. “Noi ci occupiamo di 1625 diverse malattia, tra le quali le lisosomiali e le mitocondriali – spiega il prof. Andrea Pession, direttore dell’unità pediatrica dell’IRCSS Azienda Ospedaliero-Universitaria di Bologna  e presidente della SIMMESN – Si tratta di malattie molto complesse non solo per i meccanismi che le sottendono, ma anche per la loro manifestazione clinica ed è sempre più evidente come sia possibile diagnosticarle con diversi metodi, che vanno dalla biochimica classica alla biologia molecolare e alla genetica.  Le mutazioni geniche alla base di queste malattie, infatti, inducono complesse alterazioni nelle reazioni molecolari all’interno della cellula che a loro volta si esprimono in maniera fenotipicamente, cioè clinicamente, molto eterogenea. Per questo oggi il sogno di trovare forti correlazioni genotipo-fenotipo sta sempre più svanendo, ed è sempre più necessario richiamare concetti semplici e clinici che inducano a sospettare le malattie. Segni clinici che spesso però sono aspecifici e per un medico non esperto non sono facili da associare a una malattia metabolica. Su questo entra in gioco la diagnosi precoce e gli screening neonatali si stanno rivelando sempre più preziosi anche per le malattie metaboliche. L’Italia, insieme agli Stati Uniti, è il paese dove si ricercano più patologie con lo screening neonatale. Ad oggi ne ricerchiamo 48 ma stiamo aspettando i decreti di allargamento del panel che consentano velocemente di passare almeno a 53 malattie, aggiungendo ad esempio le lisosomiali – come la malattia di Anderson Fabry, la Pompe, la Gaucher, la mucopolisaccaridosi di tipo 1. Ma è urgente inserire anche la SMA e le immunodeficienze severe congenite, malattie che hanno delle terapie assolutamente efficaci, e speriamo un domani anche la ASMD, la leucodistrofia metacromatica e la AADC”.

Tra tutti le patologie che oggi vengono ricercate in Italia la SMA è l’unica ad avere un percorso che parte da un test di tipo genetico, ma nel futuro questo potrebbe essere necessario per molte malattie, ma il sistema italiano dei laboratori è pronto ad uno screening sempre più allargato che includa diverse metodiche? “Io mi domanderei se davvero in Italia è necessario che ogni regione abbia il suo centro screening, e alcune anche più di uno. Tanti centri che fanno tutti la stessa cosa, e quindi tante risorse impegnate per questo – dice il prof. PessionCredo che la strada da seguire sia diversa, ed è quella di avere meno centri più attrezzati e con standard di qualità alti. Farò del tutto, e ci stiamo già lavorando, per rivedere criteri e regole che i laboratori devono seguire e standard che devono essere garantiti. Se una regione non è in gradi di raggiungerli e garantirli allora è bene che si appoggi ad un altro laboratorio di screening, perché non è il numero che conta ma la qualità del percorso che possiamo garantire”.

Ad oggi per decidere quali patologie devono essere ricercate si parte da una valutazione basata sui Criteri di Wilson (conoscenza e gravità della malattia, esistenza di un test validato, esistenza di una terapia, bilanciamento costo/efficacia) che risalgono al 1968, ma questi criteri sono ancora adeguati? “Questo è un tema di cui si è parlato anche al congresso mondiale in Australia – racconta Pession – Sostanzialmente i dieci criteri di Wilson sono ancora validi, ma bisognerebbe aggiungerne uno che consenta di misurare la qualità della vita dei pazienti che hanno avuto accesso alla diagnosi. La sfida è tradurre la vita reale delle persone, bambini, adolescenti, poi adulti, in end point misurabili e questo possiamo farlo solo se collaboriamo sempre più strettamente con i pazienti, non dobbiamo averne paura, è con loro che possiamo produrre questi indicatori”

Qui sotto il video integrale dell’intervista

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