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Malattie lisosomiali: luci ed ombre per lo screening neonatale

Malattie lisosomiali: luci ed ombre per lo screening neonatale

Il prof. Alberto Burlina: “Negli ultimi otto anni, nel Triveneto, oltre 260mila neonati sono stati sottoposti al test e 51 sono risultati affetti”

Padova – Otto anni di esperienza: il progetto di screening neonatale per le malattie da accumulo lisosomiale attivo in Veneto, Trentino e Friuli – Venezia Giulia continua ad accumulare dati preziosi e soprattutto a salvare delle vite. L’ultimo aggiornamento, appena pubblicato sulle pagine dell’International Journal of Neonatal Screening, parla di circa 250mila neonati (ma oggi sono già più di 260mila, NdR) sottoposti a screening per quattro patologie da accumulo lisosomiale: malattia di Fabry, malattia di Pompe, malattia di Gaucher e mucopolisaccaridosi di tipo I.

Numeri che rendono questo progetto, guidato dall’équipe dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Metaboliche Ereditarie dell’Azienda Ospedaliera di Padova, diretta dal prof. Alberto Burlina, il più rilevante in Europa per le quattro patologie in questione. Nel corso degli ultimi otto anni, 126 neonati (lo 0,051%) sono risultati positivi allo screening, eseguito tramite il dosaggio dell’attività enzimatica mediante spettrometria di massa tandem, e seguito dalla quantificazione dei biomarcatori come test di secondo livello.

Successivamente, 51 di loro sono stati confermati affetti (18 da malattia di Fabry, 16 da malattia di Pompe, 13 da malattia di Gaucher e 4 da mucopolisaccaridosi di tipo I), con un’incidenza complessiva di un caso su 4.874. Di questi, tre pazienti con malattia di Pompe a esordio infantile, due con malattia di Gaucher a esordio neonatale e quattro con MPS I sono stati trattati immediatamente, mentre altri quattro affetti da Gaucher hanno avuto bisogno di cure nei primi anni di vita. La Fabry si è confermata la patologia più diffusa fra le quattro, con un’incidenza molto superiore rispetto alle stime del passato.

Fin qui i dati: ma lo studio pubblicato da Burlina e colleghi, già dal titolo, fa riferimento a “luci ed ombre” per lo screening delle malattie lisosomiali (condizioni che ad oggi non rientrano nel pannello di screening nazionale). Perché? “Negli ultimi due decenni, lo sviluppo di metodi diagnostici ad alto rendimento e la disponibilità di trattamenti efficaci hanno aumentato l’interesse per lo screening neonatale di queste patologie”, spiega il prof. Burlina. “Il nostro studio dimostra che si tratta di un metodo fattibile ed efficace, che permette ai pazienti di avere una prognosi migliore grazie alla diagnosi e al trattamento precoci. Tuttavia, prima di includere una malattia nel pannello di screening nazionale (o escluderla), è necessaria un’esperienza di follow-up a lungo termine per identificare chiaramente i rischi e i benefici: noi, con la nostra pubblicazione, abbiamo dimostrato che ora questa esperienza c’è. In otto anni, infatti, abbiamo potuto valutare diversi aspetti, come il rapporto fra costi e benefici, le differenze nell’incidenza della malattia a seconda delle aree geografiche, e l’impatto della comunicazione della malattia al paziente”.

Le “ombre” sono invece le sfide che occorre affrontare, alle quali Burlina accennava anche in un’intervista di qualche mese fa, l’elevato tasso di falsi positivi, l’interpretazione clinica delle forme a esordio tardivo e delle varianti di significato incerto, la mancanza di trattamento per le forme neuronopatiche. Per la malattia di Fabry, inoltre, c’è un problema in più: come avviene in tutte le condizioni legate al cromosoma X, il maschio può essere solo sano o malato, mentre nella femmina ci possono essere diverse presentazioni di malattia, compresi valori normali di attività enzimatica che possono quindi sfuggire allo screening. Solo l’esame genetico permetterebbe di identificare tutta la popolazione.

Un’altra “ombra” è la situazione negli altri Paesi, se escludiamo l’esempio virtuoso di Taiwan, il cui pannello di screening include anche le lisosomiali e dove il tasso di copertura è superiore al 99,9% (ma su una popolazione di soli 23 milioni di abitanti). Gli USA si presentano a macchia di leopardo: nel Recommended Uniform Screening Panel (RUSP), l’elenco di tutte le malattie genetiche raccomandate per lo screening neonatale, sono presenti la Pompe dal 2015 e la MPS I dal 2016 (entrambe nella lista delle condizioni principali), mentre restano fuori la Fabry e la Gaucher. In più, ogni Stato decide per sé, con enormi differenze fra le coste est e ovest, ben coperte dallo screening, e gli Stati centrali, dove le iniziative sono quasi assenti.

Infine, l’Europa: “L’Italia ha dato l’esempio agli altri Paesi: una legge come la 167 del 2016 non è in vigore in nessuno Stato”, sottolinea Burlina. “Il nostro pannello è di gran lunga il più ampio: le altre nazioni si fermano al massimo a 10-15 patologie. Se poi ci riferiamo solo alle lisosomiali, l’Italia, e più recentemente il Belgio, sono gli unici ad avere dei programmi in atto”, conclude. “Abbiamo preso una direzione che l’Europa, evidentemente, non condivide”.

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