A livello internazionale le evidenze sulla necessità di screening aumentano. Anche dall’India arrivano dati a sostegno di programmi di diagnosi precoce
Ad oggi, la Lombardia è l’unica regione italiana che sottopone i propri nuovi nati allo screening per l’Adrenoleucodistrofia X-linked (X-ALD). Dal 1 settembre 2021, infatti, tutti i bambini nati in Lombardia hanno la possibilità di essere sottoposti allo screening neonatale per questo raro disturbo recessivo legato al cromosoma X. Questo grazie a un progetto pilota – il primo in Italia – finanziato dal Ministero della Salute tramite il bando per la Ricerca Finalizzata e coordinato dal Dr. Davide Tonduti, dell’Unità Operativa Complessa di Neurologia Pediatrica dell’Ospedale Buzzi di Milano, in collaborazione con il Dipartimento di Pediatria e l’Unità Operativa Complessa di Screening Neonatale e Malattie Metaboliche.
All’estero, invece o screening neonatale (NBS) per la X-ALD è disponibile in molti Stati del Nord America (Connecticut, California, Pennsylvania, Minnesota, Georgia, Illinois e New York), nei Paesi Bassi e a Taiwan. Studi preliminari, tuttavia, sono stati condotti anche in Cina e in India.
Proprio dall’India, per la precisione da alcuni studenti di medicina del Government Medical College dello Stato di Omandurar, che arriva uno studio recentemente pubblicato su Dove Medical Press, a sostegno dell’introduzione su larga scala dello screening neonatale per l’adrenoleucodistrofia.
Lo studio presenta il caso di un bambino di 10 anni che si è recato al Pronto Soccorso dopo aver avuto una crisi epilettica. Aveva anche lamentato – scrivono i ricercatori – debolezza agli arti superiori e inferiori destri, insieme a deficit visivo bilaterale nelle ultime due settimane. La debolezza si è dimostrata insidiosa all’esordio e mostrava una natura progressiva, andando a colpire in particolare il gruppo muscolare flessore e manifestandosi come debolezza muscolare spastica, prossimale o distale. La debolezza era anche associata a movimenti involontari e senza scopo (coreoatetosi) che colpivano prevalentemente gli arti destri. Il deficit visivo è risultato progressivo e non associato a dolore.
Il colloquio anamnestico ha permesso di scoprire che il piccolo paziente aveva avuto difficoltà a parlare per l’ultimo anno. Il suo appetito era diminuito e aveva anche lottato con l’incontinenza urinaria e fecale per gli ultimi 20 giorni. Il bambino aveva, inoltre, avuto convulsioni febbrili ricorrenti e prolungate a partire dall’età di 18 mesi. La mamma ha anche riferito che il figlio aveva un ritardo nel raggiungimento delle tappe dello sviluppo, mai affrontato. Quando ha raggiunto i 10 anni di età, la sua età di sviluppo era in un intervallo significativamente più giovane di circa 7-8 anni.
L’anamnesi familiare, infine, ha rivelato che il bambino era figlio unico, che la madre aveva una storia di aborto e lo zio materno era morto il terzo giorno di vita.
Per arrivare alla diagnosi di X-ALD il bimbo è stato sottoposto a esami del sangue di routine, una scansione TC-encefalo senza contrasto, una successiva con contrasto, un esame fisico approfondito, l’analisi del liquido cerebrospinale (CSF) e dei livelli di ormone adrenocorticotropo (ACTH), un esame oftalmico e una risonanza magnetica cerebrale.
Dal punto di vista terapeutico, al bimbo è stata avviata l’alimentazione tramite sondino e la cateterizzazione urinaria e sono stati somministrati farmaci antiepilettici e anticonvulsivanti.
Soltanto dopo tutto questo, in regime di ricovero in terapia intensiva, si è finalmente giunti alla diagnosi di adrenoleucodistrofia, complicata da insufficienza surrenalica e atrofia ottica.
A quel punto – scrivono i ricercatori – per gestire e potenzialmente rallentare la progressione della malattia, sono stati apportati aggiustamenti dietetici, limitando gli acidi grassi a catena media (VLCFA). Inoltre, è stato aggiunto all’alimentazione olio di cocco, ricco di acidi grassi a catena media. Nonostante l’approccio terapeutico multiforme, la progressione della malattia alla fine si è rivelata inarrestabile. Sei mesi dopo la dimissione, il bambino è morto per insufficienza respiratoria.
Obiettivo di questo studio, come anticipato in premessa, è quello di sostenere la necessità di NBS in tutto il mondo e di follow-up neurologico pediatrico per consentire un intervento precoce e migliorare i risultati dei pazienti.
Purtroppo, al momento non esiste una cura per questa patologia. La gestione della malattia comprende diverse strategie. Innanzitutto, la terapia ormonale surrenale viene somministrata per affrontare l’insufficienza surrenale, alleviando alcuni dei sintomi associati. Il trapianto di cellule staminali rimane, a oggi, l’unica opzione per i pazienti italiani, da quando, nell’ottobre 2021, l’azienda produttrice dell’unica terapia genica mirata ha annunciato la decisione di ritirare l’autorizzazione alla commercializzazione del farmaco nell’Unione Europea.